martedì 10 dicembre 2019

Bianco


La porta di casa si sfonda, tutti i vetri del terrazzo vanno in pezzi ed entra il vento, è bianco come le pupille di mia madre, quando la chiamo per dirle cos'è successo mi risponde con voce di sonno e dice che non sa, di chiedere a qualcun altro e si addormenta tra le parole, allora chiamo mio padre che con dolcezza mi dice ci sono io piccola mia, non mi ha mai parlato così e allora forse questo è un sogno ed ecco perché è tutto così bianco, mio padre arriva con mio fratello e mi portano dei vetri di plastica da montare, è facile dicono e poi se ne vanno e io resto con la plastica fredda in mano e vorrei coprire il buco ma non so come si fa, così rimango impotente stringendo quella cosa inanimata e insieme a me c'è solo il bianco che soffia da fuori, allora inizio a girare per le stanze a cercarti, entro in una ed è piena di gente con le scarpe da ginnastica e i jeans delle superiori ammucchiata l'una sull'altra, guardo quello in cima al mucchio che ti somiglia ma non sei tu, lui si alza e viene da me, mi prende il viso con due mani come fai tu e vuole baciarmi ma io mi ritraggo e subito dopo il vento mi porta in un'altra stanza dove su una sedia c'è un abito bianco, lo odio il bianco perché è il colore del tutto e io invece mi sento sempre in pezzi e non riesco nemmeno a spazzare via i cocci di vetro dal pavimento, all'improvviso mi chiama la mia amica e la sua voce dolce e preoccupata è una musica che viene da lontano, ma io voglio parlare con te e allora metto giù e ti chiamo e il telefono squilla e squilla e so che non saprò mai se risponderai mentre io rimango ferma, paralizzata dall'assenza e dal bianco che continua a soffiare da fuori a dentro di me.

sabato 17 agosto 2019

Żàgara


Żàgara = s.f. [voce sicil., dall'arabo zahr] - Il fiore degli agrumi, spec. dell'arancio e del limone: profumo di z; boschetti d'agrumi imbalsamati di zàgare e di gelsomini (Pirandello)


Il sole d'agosto scende in picchiata sulla caletta, il mare lo riverbera nell'aria, rendendola salata. Le cicale segano i tronchi dei pini, seccando il cielo. I rami schiantati dai raggi sembrano creare sagome umane, forme calcificate nell'azzurro. Niente si muove, tranne me: avanzo nella spiaggia incendiata, ubriaco di estate. L'aria caldissima mi entra nelle narici dilatandole, mi sento la testa leggera, boa galleggiante nell'acqua. Non avverto le onde, né l'inferno sotto alle piante dei piedi, sono tutt'uno con la sabbia e l'aria tremolante di calore.
Dal mare arriva un profumo dolce e forte, si fa strada nel mio naso pieno di sole, chiudo gli occhi e mi ci perdo dentro. Mi appare un vestito bianco, una cavigliera tintinnante, bicchieri di vino sparpagliato dai raggi del sole. Riesco a sentire l'aroma di arance che si intona perfettamente al turchino degli occhi, come nelle piastrelle di maiolica siciliana. Respiro a fondo e seguo la scia agrumata fino alla riva. Non riesco a ricordare il nome del tuo profumo eppure lo sento, arance vive sulla pelle, dentro ai miei pori salati. Arrivo alla battigia trascinato dal vento odoroso, percepisco l'azzurro insinuarsi tra le mie caviglie e mi immergo fino alla vita.
Quasi non mi accorgo di te che mi nuoti attorno, poi ti sollevi scintillante d'acqua e mi butti le braccia al collo. Mi goccioli addosso, ti rituffi e mi spruzzi ridendo, i denti bianchi come schiuma. Bevo l'aria profumata, sento foglie e fiori crescermi dentro la testa. Tu mi chiami, vuoi giocare, le tue piccole mani sono gioielli dentro a una conchiglia. Avanzo nell'acqua che sale sempre più, sento le gambe fondersi con i flutti, il mio corpo sciogliersi nel blu.
Tu ti volti per vedere se ti sto seguendo e io sì che ti seguo amore mio, ormai di te riesco a scorgere solo la testa bionda, sembra un sole che sorge dal mare e mi toglie la vista, ma a me non serve perché seguo il profumo, e mentre mi lascio sommergere mi sembra di sentirti dire il mio nome amore mio, non ne sono sicuro perché l'acqua mi sta entrando nelle orecchie, ma è un'invasione dolce, e quando anche le narici si riempiono di mare chiudo gli occhi e sento il profumo nella mia testa e dentro alle arance ci sei tu, allora lo lascio entrare fino in fondo ai polmoni e con l'ultimo respiro riesco a vederti amore mio, e finalmente ricordo, adesso che siamo di nuovo insieme e non ci lasceremo mai più: profumi di zàgara.




domenica 7 aprile 2019

Legna


So parlare solo di radici, dicono.
Se risalgo la radice trovo un albero: il ramo di mia madre è pieno di lentiggini. É un legno nodoso costellato di nei, chiazze più o meno grandi e ombreggiature. Non c'è nulla di omogeneo. Mia nonna avrebbe voluto sfrondarlo, quel ramo, piallarlo, ignara che in fondo ai suoi occhi di legno marrone ci sono le stesse, minuscole macchie.
Il ramo di mio padre è un melo, robusto e tenace, non si piega durante le tempeste, che in verità arrivano poco. É mite il clima qui, e forse proprio per non risvegliare il bosco si usa parlare poco e solo del tempo, della vendemmia e delle fiere. Ma un albero che cade, anche nel silenzio, lascia il vuoto.
Quando arriva la primavera le gemme esplodono in semi che si spargono intorno. Cercano saltando di spingersi lontano, ma atterrano all'ombra dei rami, bimbi nudi. Bevono parole che cadono dall'alto, dimenticano l'abbraccio della corteccia in inverno, si allungano nel cielo grande. Qualche ramo nasce sbucciato, di notte prende freddo e se si posa un animale rabbrividisce e lo fa andare via. Qualche ramo si torce verso il sole, imprimendo nel legno rughe di ostinazione. Qualche ramo è un abbozzo, scorza dura e linfa calda, non prende forma e mai lo farà.
Poi d'estate si aprono le foglie, verdi senza vergogna. Toccando le venature sento nei sottopelle, urlate della domenica, la consistenza del vapore di pastasciutta, ore sole in camera. E ancora mani, libri, voci, mi tocco la faccia e sento legna.
In autunno diventeremo cataste, in inverno ci scalderemo bruciando. Io mi allungo, e sento le gemme sotto alle mani.