Cammino lungo la strada di casa, la solita, cara, vecchia strada. Grigia d’asfalto,
di marciapiede urbano, davvero qualunque. Anche i miei piedi vestono scarpe
care e vecchie, come un archeologo eccentrico non mi piace buttare via niente,
specie le scarpe. Queste che ho addosso, incrostate di fango, mi ricordano le
domeniche mattina nebbiose passate a spolmonarmi dietro a un pallone, vociante
e sudato e ignorante e felice. Non mi piace buttare niente, nemmeno le pagelle
scadenti o le foto di classe con io che faccio le corna a uno di cui non
ricordo nemmeno più il cognome e sorrido con la mia bocca da latte di seconda
elementare. Sorrido anche adesso, a mezza bocca, con la mia bocca di
universitario mezza tacca dalla voce roca di sigarette girate, e infilo la mano
ruvida in tasca, ché fa freddo, gennaio è freddo, sono i giorni della merla
dicono, e io sono nato proprio in questi giorni. Ma non si può decidere quando
nascere, forse è la sola cosa che non possiamo proprio decidere noi. Ché volere
è potere, e puoi essere tutto quello che vuoi, e sei libero, libero, libero, e
pensa se fossi nato in Africa o in Afghanistan. Faccio spallucce senza nemmeno
accorgermene; nella tasca individuo al tatto un filtrino e una monetina di
quelle rosse, forse 1 o 2 cent. Paccottiglia, sorrido tra di me, e del resto?
Paccottiglia. Mi sono dimenticato di dirvi che per arrivare a casa mia si
costeggia un fiume, poca roba eh, un rigagnolo grigiastro che però d’estate si
gonfia come il petto di una cincia squillante e io mi sento bene, mi sembra di
respirare meglio, forse anche perché d’estate posso mettermi le scarpe di tela
e andare dappertutto di corsa e saltare le pozze di fango come se fosse Antani.
L’asfalto si mischia al terreno dell’argine, da un lato la pista ciclabile
grigia, dall’altro la terra dura come la pelle tesa di un tamburo, con qualche
ciuffetto d’erba polveroso che tiene duro e dice all’inverno, è tutto qui
quello che sai fare? È bello tornare a casa anche perché c’è il fiume, il caro
vecchio fiume, e la strada grigia, e i condomini anni Novanta, tutto si
affaccia sul fiume e ci casca dentro e ne esce pulito di fresco. O forse sono
io che ci casco dentro e sono pulito di fresco, non so; so che ogni volta che
torno a casa mi prende una cosa, una cosa qui, che non so bene come dire… Come
le monetine rosse e il filtrino e le mie scarpe e il pallone e pagelle e
sorrisi, non vorrei essere in nessun altro posto che qui. Nella mia tasca.
Dalla raccolta immaginaria di racconti Luoghi
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