Arrivo in serata con
l’adorato car sharing, moderno stivale delle sette leghe. Smonto in piazza
Dante, nella parte del centro ampia e alta, con palazzi e fontane che ricordano
la Torino sabauda, svettante e fiera come una regina. Ma non c’è regina senza
puttana, e Genova come Torino me lo conferma, con un sospiro di sollievo.
Se da piazza De
Ferrari (detta Defe) si scende, lasciandosi alle spalle la grande fontana, i
tanti motorini e nessuna bicicletta, si entra nella città vecchia, dentro i
caruggi. Le città di mare sono tutte sorelle e Genova ha l’andatura molleggiata
di Lisbona, tutta un saliscendi, e braccia e gambe come Venezia, vicoli alti e
stretti che qui si chiamano appunto caruggi e se ti perdi, tuo danno.
Scendere nei caruggi
la sera, per quanto pittoresco e carico di gente e vino al bancone della Lepre o delle
Vigne, non rende come di giorno. Come si diceva, Genova è una regina che tratta
alla pari i mercanti e cambia palazzo a seconda di come le gira, ma è anche una
puttana che osserva un orario di servizio diurno, in via della Maddalena.
Passeggiando in quella
zona intorno all’ora di pranzo, tra banchetti e negozi da ogni angolo del mondo, come in ogni porto che si rispetti, mi imbatto in un piccolo gruppo di prostitute,
in piedi ai lati del vicolo. Sono tutte latine, la divisione etnica degli
immigrati vale anche qui. E mi viene in mente Parigi, con il suo quartiere
tutto africano giusto ai piedi della scintillante Montmartre.
Passando sento un nordafricano
che dice qualcosa a una di loro, e lei risponde: -Non lavoro con te-. Proprio
come in Full Metal Jacket. Ma senza aspettare di vedere serpenti neri dell’Alabama,
passo oltre, perché alla fine l’occhio non può fermarsi troppo a lungo né sulla
corona della regina, né sul volto della puttana. Fanno troppa luce.
In venti minuti di
autobus si arriva al mare. La riviera ligure è bella da star male, non c’è da
stupirsi se qui sono state scritte così tante poesie e canzoni. Eugenio e Fabrizio,
tra i più grandi sempre e per sempre, però un aiutino il vostro luogo natìo ve
l’ha dato. Cerco nella sabbia sassosa ossi di seppia, non ne trovo. In compenso
noto che, pur essendo una città di mare, non c’è nemmeno un gatto in giro. Però
su una porta legnosa ai piedi di una creuza, la tipica strada acciottolata in pendenza, campeggia un cartello: “Smarrito Lucio, gatto tigrato”, con
foto e telefono del padrone.
Alla fine mi ritrovo di
nuovo nei caruggi, in un piccolo bar gestito da una coppia di vecchini scalda
cuore. Lui sorride e trasporta incessantemente la merce dentro e fuori dal bar,
lei prepara l’asinello, un liquore dolcissimo tipico di qui, che sembrerebbe
uno sciccoso martini se non fosse che viene servito da questa vecchia signora
dalle mani forti direttamente da un bottiglione millenario. Meno male.
Da fuori arrivano le
voci della gente che chiacchiera, asinello in mano. I gatti se li mangiano gli
africani, dice uno. Ah, ecco perché non ce ne sono, dice un altro. Ma va’,
esclama un terzo. Eh sì, belìn!!, insiste il primo. Ciao Lucio, penso io.
Genova ha due anime, la
regina e la puttana, il palazzo e la strada, o la ami o la odi, dicono i
genovesi.
E chissà dove vanno i
gatti.
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creuza, Genova, aprile 2014 |
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caruggi, Genova, aprile 2014 |