Lasciare Lisbona è il distacco più difficile che ho fatto, forse per questo è stato deciso e netto, come tagliare un ramo.
Sono convinta che i luoghi definiscano le persone, siano residenti o di passaggio, e che l'uomo sia immagine e somiglianza dei posti in cui vive. L'orografia umana: ogni persona è fatta di luoghi e, d'altronde, la Terra è un cuore, i suoi fiumi sono vene e arterie, gli oceani stomaci immensi, le montagne rughe d'espressione.
Così, vivere in una città di mare, anzi d'oceano, ti abitua ad una sensazione d'infinito, di vastità blu inesplorate, spaventose ma piene di echi di sirene. Ti avvicina all'incertezza, ad una visione che si perde all'orizzonte, nel blu, ad una costante mancanza, nostalgia dell'ignoto, di quello che deve ancora succedere. Ti fa sentire le voci dei naviganti, di chi è già partito e non tornerà, di chi devi ancora incontrare. Ti tempra, ti fa tenere la barra dritta anche nell'inquietudine, nel movimento, come un marinaio.
I suoi abitanti sono conchiglie, se li accosti all'orecchio senti melodie antiche, profonde. Duri in superficie, sono pieni di saperi, di mare, e cantano. Il fado è il grido impossibile verso l'assenza.
Forse è per la mia natura irrequieta e fatta d'aria che Lisbona mi ha colpito così profondamente, rispecchiandomi, come se mi fossi rotolata sulla sua mappa e l'inchiostro mi fosse rimasto sulla pelle.
L'uomo è il mondo, e non resta che saperlo trascrivere.
Dalla raccolta immaginaria di racconti Luoghi
Lisbona dall'aereo ponte 25 de abril maggio 2015 |