Devi crescere,
dici, metti il piede nella pozzanghera e mi fissi sorpreso perché ti sei
schizzato, io guardo il riflesso ai tuoi piedi e ci vedo mio nonno, lui andava
sempre lento e sceglieva bene le parole, al punto che non ricordo l'ultima che
mi ha detto.
Gli alberi alla
finestra sono cornici di sopracciglia, me le sfoltisco allo specchio e rivedo
me bambina, ho sempre avuto paura del buio e ho usato la lucina fino a non
ricordo che età, quando tutti si riunivano per giocare io volevo stare sola e disegnavo
linee che riportavano sempre a una casa vuota, oppure piena, che è lo stesso, a
volte troppo è uguale a niente.
Quando mi tocchi
sento un battito antico, vorrei solo alzarmi e andare a lavorare e poi tornare
e mettere su l'acqua della pasta, ma qualcosa di vecchio mi chiama e il ricordo
è un suono che mi riporta indietro, il cuore ha tante stanze quante ce ne
vogliono per occupare la paura.
E allora come si
fa a progettare una casa, non riesco a immaginare le piante che ci abitano, in che modo scende la luce di sera e di che colore diventano i tuoi occhi la notte. Adesso
che sto per avere un giardino, sento che potrei inciampare in ogni angolo, che
nessun filo d'erba mi lascerebbe stare perché ci riconoscerei tutto dentro. Vorrei
scavare uno stagno per poterci entrare e svuotare la pancia e poi guardare
galleggiare in superficie tutte le mie lucine impazzite.
Devi crescere,
dico, scosto i capelli dalla fronte e non ci vedo niente, un foglio da disegno
bianco. Prendo la matita e incido.