La macchina è la
mia, verde di stagno, non l'ho mai presa sul serio anche se mi porta in giro da
almeno cinque anni. Ci sono cose che non si realizzano, tipo essere adulti,
nemmeno quando paghiamo le bollette, facciamo il 730 da soli o ci prendiamo
cura davvero di qualcuno. Per me è così, non è mai abbastanza, neppure gli
occhi bucati di un adolescente che si bevono le mie parole bastano a
legittimarmi, non nel profondo. Penso così mentre guidi, ecco questa è un'altra
cosa, non ho mai fatto un incidente eppure preferisco sempre che guidi qualcun
altro, è atavico, non credo abbia troppo a che fare con l'incomunicabilità di
mio padre nelle sue lezioni di guida, anche se di sicuro non aiuta, allora
piuttosto vado a sbattere contro un muro vero, almeno è più concreto del
silenzio, se parlare senza ascoltare è silenzio.
Sono stanca, ho il jetlag ma
per nessun motivo avrei rinunciato al nostro viaggio, potrebbe essere l'ultimo
ma preferisco non pensarci. Tanto mi arriverà la consapevolezza come un colpo
alla nuca una volta arrivati in campeggio, tutte le tende montate vicine sono
bandiere, steli in un prato, si stagliano al sole nella loro realtà, mentre la
nostra starà su due giorni e poi addio. Non riesco a capire come posso ogni
volta infilarmi in situazioni temporanee, transitorie, quando avevo vent'anni
va bene ma adesso mi sembra di nuotare e non riuscire a prendere aria tra una
bracciata e l'altra.
Fa molto caldo, il sole di agosto opprime l'abitacolo, ho
dormito gran parte del tragitto mentre tu spingevi il motore fino ai 130,
eppure io dormivo. Il miracolo dell'addormentarsi, ecco un'altra delle mie
cose, ho superato i 30 ma ancora non riesco - quasi mai - a semplicemente,
naturalmente dormire. Antichissimo anche questo, pensavo che un giorno sarei cambiata,
e invece. Quand'è esattamente che si diventa adulti che non mi ricordo?
« Ci fermiamo a
riposare » dici tu, non è chiaro se come invito o domanda, esci dall'autostrada
e ti infili agilmente dentro vie che non conosci, un cane fiducioso.
Io un po' ho fame
e un po' mi scappa la pipì ma non lo dico, l'autogrill l'abbiamo passato. Tu
giri tra spiazzi e divieti, alla fine ti fermi di fianco a un prato
apparentemente libero. Smontiamo.
Non abbiamo mai
più parlato di queste cose, chissà se le ricordi, chissà per te che hanno significato. Il pensiero della loro finitezza mi genera un male fisico,
inconsolabile. É quel genere di dolore che si prova quando vorremmo tantissimo
piangere, ma non riusciamo. Ricordo che a un
altro uomo col tuo stesso nome avevo detto: « Tu hai paura delle fini »,
potenza del contrappasso.
Ti seguo in silenzio mentre ti avvii verso il prato
con i nostri asciugamani. Ci sono due
alberi gemelli, le loro ombre proiettano sull'erba un'amaca di foglie scure. Tu
stendi gli asciugamani vicini all'ombra, piazzi il tuo zaino a un'estremità e
ti accomodi. Poi mi guardi, mi sorridi e dici: « Dai, vieni! ».
Ecco, io davvero
non vorrei stendermi al tuo fianco, con la testa sulla tua spalla che si
solleva e abbassa man mano che il respiro diventa sempre più lento e regolare
perché ti stai, semplicemente e naturalmente, addormentando. Non perché non lo
voglia tantissimo, e infatti lo faccio, ma perché so che questo momento da
niente, noi distesi sotto a un albero con tu che dormi e io che vorrei ma nemmeno
faccio finta perché va bene così, ecco questo momento con la
mia faccia che diventa ruvida contro la tua maglia ma non te lo dico perché non
ti voglio svegliare e fa niente se mi si blocca il collo perché tanto non mi
sposto, questo momento finirà perché noi finiremo. E mi dico che non importa se
posso ancora descrivere il sapore rosso della tua maglia, l'istantanea azzurra
di un pomeriggio estivo in mezzo all'Italia, preciso come un addio, tutto
questo non importa se poi finisce e ci separiamo. Credo che sia anche questa
una delle mie cose, o forse è la cosa sotto a tutto il resto: esserci, e
rimanere. So che sempre è una parola grande, ma vorrei potermi sentire piccola
per dirla, e basta.