I finestrini sono grandi abbastanza da restituire uno specchio grigio,
duro, freddo. Tutto funziona, tutto è diritto e solido e funzionale. La pioggia
si rovescia sul vetro ma non ha nulla di scrosciante e libero come è tipico
dell’acqua. È acqua ordinata, questa.
I’m sticking with you, canta Nico. Mi risuona nelle orecchie dagli auricolari, certo
era più suggestivo ascoltarla al Tacheles, circondata da sculture di ferro, ma
tant’è. E poi parliamone, della musica che ti accompagna durante i viaggi: la
porta dello specchio magico. Rivelazioni e brividi grazie a lei.
Il signore seduto di fianco a me russa un po’, con la bocca semiaperta. Ha
un basco verdastro che gli cala sul faccione e, detto tra noi, non è un grande
spettacolo. Mi ricorda un po’ un mio ex, cosa che mi fa sorridere. La pioggia
batte.
Penso a te che mi dici -I don’t care-
quando ti chiedo se vuoi che io resti a Berlino oppure no. Di tutte le cose che
si possono dire, hai scelto questa. Forse non è così importante il posto in cui
si è, o forse invece sì.
Penso al Tacheles con le pareti affrescate di colori neri e punk o
sgargianti da copertina di disco anni ’80, le scale a chiocciola da condominio
tossico, gli artisti confusi con la gente, la fotografia della suora con il piercing
ai capezzoli.
I don’t care è peggio di un no, però è la verità. Che, detta
in un sacrario di arte spontanea come un fiore che buca la neve tedesca, va
rispettata più che mai. E poi così posso godermi i Velvet in corsa con la
pioggia, un dolore delizioso. Quasi quasi ti ringrazio. Oppure no.
I’ll do anything for you
Anything you want me
to
I’ll do anything for
you
I’m sticking with you
Velvet UndergroundDalla raccolta immaginaria di racconti Luoghi
Tacheles, Berlino, febbraio 2010 |
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