Si sveglia col
cuore in gola. La sensazione è quella di tirare improvvisamente la testa fuori
dall'acqua, avida d'aria, risucchiando tutto quello che le riesce. Lo chiamano
panico, dal greco pan, tutto. Lei ha sete di tutto, deve riempirsi per non
sentirsi vuota e vacillare di fronte al buco. Per questo va in difetto d'aria e
le vengono le cosiddette apnee notturne, si sveglia sfinita dalla lotta per
respirare, già in debito di ossigeno non appena apre gli occhi. Al suo fianco
intravede la schiena addormentata di lui, che si solleva e si abbassa a
intervalli regolari come lo scafo di una nave rovesciata, sembra mossa da un
moto maroso tranquillo, che concilia il sonno. Lei invece si sente nel petto i
gorghi mitologici di Scilla e Cariddi, rantoli d'acqua rabbiosa contro non si
sa chi. Deve stare attenta a non caderci dentro o è la fine, deve alzarsi ora,
quindi si strappa via dal letto.
Lo Xanax alla
mattina è meglio non prenderlo o si passa l'intera giornata in trance chimica,
e poi il sapore è orrendo, ricorda quelle medicine acide che le davano le
suore, e allora cloro al clero. I vestiti si infilano da soli perché per
fortuna è estate, senza bottoni o legacci vari. Niente caffè, ovviamente, deve
solo uscire per andare al lavoro, per fortuna non guida dato che il tempo è
bello, andrà in bicicletta. E se la bici le si rivolta contro? Se la attacca,
se si rifiuta di collaborare, se poi cade e batte la testa e non parla con la
madre da un mese e muore senza dirglielo lei gliela farà pagare anche da morta,
no no no, si va a piedi. Così ci metterà più tempo però, bisogna muoversi. Ha
fame ma meglio non mangiare, magari vomita, l'affanno nel petto la porterà in
giro come un motore che non si spegne mai, mai. Esce di casa, ecco i gradini.
Ha i piedi sudati, sente che può scivolare, è ridicolo perché li fa tutti i
giorni eppure ora la agitano, sente un ronzio nelle orecchie come di un colibrì
impazzito ma deve scendere, uscire. Arriva in fondo alle scale e apre il
portone. La luce abbaglia ma non scalda, come il riflesso di uno specchio. Di
fronte c'è la strada, le macchine, il traffico. La bicicletta è legata lungo il
muro, l'ha comprata gialla perché le piaceva ma adesso le sembra un colore
infido, la guarda e vede una biscia d'acqua.
Deve
attraversare il traffico della mattina cavalcando quella biscia, lo fa spesso
ma oggi no, oggi non ce la fa. Vorrebbe fermare tutto, bloccare il fotogramma
di quell'attimo e respirarci dentro, ritrovare l'aria. Ma il mondo non si ferma
mai, allora forse può fermare se stessa. Le vengono in mente gli opossum in
quei documentari sugli animali che ama tanto: praticano la tanatosi, morte
apparente di fronte a un pericolo. Non appena lo pensa si sente già diventare
più rigida, come se l'aria accumulata in respiri affannosi le si solidificasse
dentro. Mentre diventa una statua di pietra e il peso del suo corpo immobile la
trascina verso terra, prova finalmente un grande senso di pace.
http://etimo.it/?cmd=id&id=12361&md=1e7d42c6beb70904e1639bbeb50b6594
RispondiEliminaWiki: il nome Πάν deriva dal greco paein, cioè "pascolare"
Per tutto il liceo classico mi hanno ripetuto che deriva da pas, pasa, pan... Ma può darsi fosse sbagliato. Sarebbe un peccato ai fini del racconto ovviamente!
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