Hai le mani piccole, te
le guardi e fai la faccia da alieno, sei buffo, piccolo buffo e rotto. Sembri
un po’ Chicco, la tazzina de La bella e la bestia, piccola carina e crepata.
Mi dici, è molto importante che tu sia carina, io mi arrabbio un po’ perché non mi chiami mai bella e tu rispondi così, non so come reagire, incredibile che io me lo ricordi dopo tutto questo tempo.
Ricordo anche quando hai detto, mi scaldi qui, toccandoti il petto, mi chiedo quanto profonda potesse essere la caverna al suo interno se poi alla fine un po’ di calore ci arrivava, forse il drago dormiva.
Mi sveglio di notte, saranno le 4 ma non lo so di preciso perché in casa dei tuoi non avvisto orologi e il mio telefono chissà dov’è, sbalzato via insieme al letto, vago a piedi nudi tra muri non miei e ti trovo che giochi alla Play, ti giri sollecito con gli occhi incavati e dici ciao, ma no, torna a letto, sembra che canti, sembra sempre che canti, a volte rappi, a volte sei un oboe basso. Dovevamo sempre andarci, al karaoke, poi non hanno fatto la serata e nel frattempo non canti più.
Mi accompagni in giro per la città ad attaccare volantini per uno spettacolo teatrale, chissà come ti fa sentire, chissà se il contrappasso passa anche attraverso la carta, però ci vieni, non mi dici mai di no. Una volta addirittura mi recuperi in aeroporto portando la pizza, te l’ho chiesta io dopo una settimana di burro e patate in Estonia, scherzavo ma tu con gli scherzi fai sul serio, e mentre la mangio fredda tenendo il cartone sulle ginocchia sono felice di stare di fianco a te che guidi, però allo stesso tempo sento che non ci sei del tutto, guardi dritto verso la strada e un lago di mozzarella ci separa. L’unica volta che mi hai detto di no, io volevo che mi raggiungessi a un compleanno ma tu prima no poi sì poi non mi mandare faccine tristi, non sopporto le faccine tristiii, non capivo tutto questo accanimento contro le emoticon ma ora forse sì. Le maschere sono sempre a bocca in su e in giù, commedia e tragedia si fondono in uno stesso volto, solo non pensavo fosse proprio il tuo.
Quando vado in Sardegna per uno dei miei viaggi ti prendo una piccola maschera di cuoio artigianale, un amuleto, volevo fosse quello il senso ma magari invece era solo un altro chiodo piantato nel tuo costato. E sì che gli spettacoli migliori li ho visti con te, sul palco o insieme, ivi compreso quello show memorabile di rutti col tipo mascherato che ha fatto tremare il gazebo, ti ricordi? Com’è, smettere anche di avere ricordi?
Mi rendo conto che uno dei motivi per cui scrivo è questo, tutto passa e io sento il bisogno di fermarlo, marmorizzarlo su uno schermo, e poi quando ci torno è come aprire una scatola ed è tutto lì, suoni odori sensazioni. Com’è, smettere di sentire tutto, anche questo?
Quando sei andato al mare coi tuoi mi hai portato un sasso a forma di pinguino, ti somiglia, anche il fiore che ho preso al tuo funerale ti somiglia, lasci il segno di te dappertutto, in pochi possono farlo. Vorrei potere anche solo una volta metterci sul lettone a vedere un documentario sulle lontre che ti piacciono tanto, mi sa che anche questo l’ho assimilato da te, un altro uomo che ho amato dopo mi ha soprannominato Otter, Giuliotter nei momenti migliori.
Sono cosi tante le cose che mi evochi, e anche se la tua forma non la volevi più proiettata sui marciapiedi, si è incisa negli oggetti, nelle persone. Non credo che l’idea fosse essere dimenticato. Anche perché semplicemente, non è possibile.
Ciao Andrea.
Mi dici, è molto importante che tu sia carina, io mi arrabbio un po’ perché non mi chiami mai bella e tu rispondi così, non so come reagire, incredibile che io me lo ricordi dopo tutto questo tempo.
Ricordo anche quando hai detto, mi scaldi qui, toccandoti il petto, mi chiedo quanto profonda potesse essere la caverna al suo interno se poi alla fine un po’ di calore ci arrivava, forse il drago dormiva.
Mi sveglio di notte, saranno le 4 ma non lo so di preciso perché in casa dei tuoi non avvisto orologi e il mio telefono chissà dov’è, sbalzato via insieme al letto, vago a piedi nudi tra muri non miei e ti trovo che giochi alla Play, ti giri sollecito con gli occhi incavati e dici ciao, ma no, torna a letto, sembra che canti, sembra sempre che canti, a volte rappi, a volte sei un oboe basso. Dovevamo sempre andarci, al karaoke, poi non hanno fatto la serata e nel frattempo non canti più.
Mi accompagni in giro per la città ad attaccare volantini per uno spettacolo teatrale, chissà come ti fa sentire, chissà se il contrappasso passa anche attraverso la carta, però ci vieni, non mi dici mai di no. Una volta addirittura mi recuperi in aeroporto portando la pizza, te l’ho chiesta io dopo una settimana di burro e patate in Estonia, scherzavo ma tu con gli scherzi fai sul serio, e mentre la mangio fredda tenendo il cartone sulle ginocchia sono felice di stare di fianco a te che guidi, però allo stesso tempo sento che non ci sei del tutto, guardi dritto verso la strada e un lago di mozzarella ci separa. L’unica volta che mi hai detto di no, io volevo che mi raggiungessi a un compleanno ma tu prima no poi sì poi non mi mandare faccine tristi, non sopporto le faccine tristiii, non capivo tutto questo accanimento contro le emoticon ma ora forse sì. Le maschere sono sempre a bocca in su e in giù, commedia e tragedia si fondono in uno stesso volto, solo non pensavo fosse proprio il tuo.
Quando vado in Sardegna per uno dei miei viaggi ti prendo una piccola maschera di cuoio artigianale, un amuleto, volevo fosse quello il senso ma magari invece era solo un altro chiodo piantato nel tuo costato. E sì che gli spettacoli migliori li ho visti con te, sul palco o insieme, ivi compreso quello show memorabile di rutti col tipo mascherato che ha fatto tremare il gazebo, ti ricordi? Com’è, smettere anche di avere ricordi?
Mi rendo conto che uno dei motivi per cui scrivo è questo, tutto passa e io sento il bisogno di fermarlo, marmorizzarlo su uno schermo, e poi quando ci torno è come aprire una scatola ed è tutto lì, suoni odori sensazioni. Com’è, smettere di sentire tutto, anche questo?
Quando sei andato al mare coi tuoi mi hai portato un sasso a forma di pinguino, ti somiglia, anche il fiore che ho preso al tuo funerale ti somiglia, lasci il segno di te dappertutto, in pochi possono farlo. Vorrei potere anche solo una volta metterci sul lettone a vedere un documentario sulle lontre che ti piacciono tanto, mi sa che anche questo l’ho assimilato da te, un altro uomo che ho amato dopo mi ha soprannominato Otter, Giuliotter nei momenti migliori.
Sono cosi tante le cose che mi evochi, e anche se la tua forma non la volevi più proiettata sui marciapiedi, si è incisa negli oggetti, nelle persone. Non credo che l’idea fosse essere dimenticato. Anche perché semplicemente, non è possibile.
Ciao Andrea.
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