À
George et Evelina.
Non sono mai stata a
Bucarest, almeno finora. Nel mio immaginario, quindi, è legata alle facce dei conoscenti che vengono da lì. A volte basta un nome per ricordare. O anche,
basta dare un nome a qualcosa che altrimenti non ci si sa spiegare.
Bucarest.
Lui è giovane e irruento,
con un sorriso contagioso, malizioso e ammiccante. Si appoggia allo stipite
della mia porta e mi chiama “Jolie”. Io porto un vestito verde e penso che è un
provolone, ma apprezzo il gioco di parole, mi fa sorridere. Lui ti fa spesso sorridere,
ci prova davvero con tutte e non riesce mai a stare fermo, però è buono,
schietto, senza fronzoli.
Lei è alta e giunonica,
veste abbastanza all’antica, è intelligente e parla un ottimo inglese,
trangugia tazzoni di caffè americano e fuma tanto che quando viene Jacopo a
trovarmi non riesce a dormire perché il cuscino è completamente impregnato di
fumo rancido. Allora apriamo la finestra e arieggiamo, ma non c’è niente da
fare. La stanza sa e saprà per sempre di sigarette rumene.
Lui sembra un gatto
selvatico, è un bel ragazzo e non ha paura di niente, ama le donne e non c’è
una volta che incontrandoti non dica: - Ça va? -. Se è un suo connazionale
invece dice: - Ce mai faci? -, lo dice più di tutti gli altri, ho finito per
impararlo anche io.
Lei litiga spesso con
Alex, hanno entrambi un carattere forte e sono caparbi come muli, quindi spesso
le serate di gruppo finiscono in battibecchi in inglese. Studia letteratura, ne
è molto appassionata. Porta un rossetto fucsia e una volta l’ho vista ballare,
sembrava una di quelle bambole tradizionali dell’est.
Sono forti, lui e lei,
in modi diversi.
Lui non è morto a
Bucarest. È morto a Dubai, sparato. Lavorava lì, le circostanze sono tuttora
poco chiare.
Muore giovane chi è
caro agli dei, dicevano. Lui rimane il ragazzo alto e abbronzato dal sorriso
selvatico e gli occhi socchiusi come i gatti, sfrontato, giovane e felice, per
sempre.
Lei ha deciso di
lasciare Bucarest, per sempre. Non un perché, almeno per noi lontani.
È successo l’anno
successivo, sempre in primavera. Una corda tesa dal soffitto sembra un punto
esclamativo, quando la sciogli e la appoggi in terra si arrotola e mostra tutte
le domande rimaste.
Un po’ come le mappe. Ogni punto di una mappa è un nodo da sciogliere. Quando ne guardo una e trovo Bucarest, vedo sorrisi, verde e fucsia, gatti,
sento inglese, rumeno e francese, annuso sigarette, ascolto musica balcanica.
E ho 26 anni. Per sempre.
E ho 26 anni. Per sempre.
Dalla raccolta immaginaria di racconti Luoghi