domenica 7 aprile 2019

Legna


So parlare solo di radici, dicono.
Se risalgo la radice trovo un albero: il ramo di mia madre è pieno di lentiggini. É un legno nodoso costellato di nei, chiazze più o meno grandi e ombreggiature. Non c'è nulla di omogeneo. Mia nonna avrebbe voluto sfrondarlo, quel ramo, piallarlo, ignara che in fondo ai suoi occhi di legno marrone ci sono le stesse, minuscole macchie.
Il ramo di mio padre è un melo, robusto e tenace, non si piega durante le tempeste, che in verità arrivano poco. É mite il clima qui, e forse proprio per non risvegliare il bosco si usa parlare poco e solo del tempo, della vendemmia e delle fiere. Ma un albero che cade, anche nel silenzio, lascia il vuoto.
Quando arriva la primavera le gemme esplodono in semi che si spargono intorno. Cercano saltando di spingersi lontano, ma atterrano all'ombra dei rami, bimbi nudi. Bevono parole che cadono dall'alto, dimenticano l'abbraccio della corteccia in inverno, si allungano nel cielo grande. Qualche ramo nasce sbucciato, di notte prende freddo e se si posa un animale rabbrividisce e lo fa andare via. Qualche ramo si torce verso il sole, imprimendo nel legno rughe di ostinazione. Qualche ramo è un abbozzo, scorza dura e linfa calda, non prende forma e mai lo farà.
Poi d'estate si aprono le foglie, verdi senza vergogna. Toccando le venature sento nei sottopelle, urlate della domenica, la consistenza del vapore di pastasciutta, ore sole in camera. E ancora mani, libri, voci, mi tocco la faccia e sento legna.
In autunno diventeremo cataste, in inverno ci scalderemo bruciando. Io mi allungo, e sento le gemme sotto alle mani.



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