Bauman, quando ha
introdotto la tanto decantata definizione di “liquido” per il mondo in cui
viviamo, ha parlato anche dei non luoghi. Elementi ormai riconosciuti
nell’immaginario comune, i non luoghi riempiono il mondo, ne fanno parte,
collegano i luoghi “veri” tra di loro: metropolitane, autobus, treni. Non sei
da nessuna parte ma ci stai andando e ciò ti rilassa, forse per questo è così
facile addormentarsi in treno: è una pausa dalla vita vera, in cui comunque
rientrerai quando arrivi alla tua fermata. Questi non luoghi sono sì anonimi,
sì di passaggio, ma sicuri, protetti. Temporanei.
Essere in nessun luogo
è diverso. È una condizione paralizzata e paralizzante, come la rana che spicca
il salto e si blocca a metà, avvelenata, o come una ginnasta in spaccata
permanente. Non sei di passaggio, sei fermo.
Hai tanti luoghi dietro
e tanti davanti ma non puoi raggiungerli perché non sai dove sei. Nessun luogo
è lontano, d’accordo, e ogni grande viaggio comincia sempre con un primo passo,
benissimo, ma in ogni caso c’è bisogno di un punto di partenza. E se non sai
dove sei, il punto di partenza non c’è.
Tenere i piedi in due
luoghi può portare alla paralisi. Spesso si è costretti a farlo, specie ora,
specie noi, generazione di mezzo, imbottitura tra lo strato superiore di ultimi
superstiti di un sistema garantista che non c’è più e quello inferiore di
giovani rampanti che sono sul pezzo, abituati al caos e alla polverizzazione
delle certezze, e che di questo sanno nutrirsi.
Non ricordo come
finisse la storia di cui sopra, e proprio questo è il bello: l’immagine rimane
pietrificata, in nessun luogo. Essere a metà non è facile, anche se lo sei per
natura o se i tempi che corrono ti costringono a esserlo. Immagino che
l’incantesimo si sciolga scegliendo un luogo, uno. Probabilmente uno dei due
piedi farà male, forse lo si sarà dovuto strappare via con forza o forse si
sentirà semplicemente la mancanza del terreno che si pestava dall’altra parte.
Ma almeno si potrà ricominciare
a camminare.
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