La storia comincia nell’aereo, ma in verità era già nella mia pancia da
quando ho compiuto dieci anni e due occhi marroni romani hanno fatto volare il mio
stomaco nel cielo per la prima volta.
Tu sei seduto di fianco a me, tieni la mia mano nella tua mano, ruvida e
calda la tua, piccola e umida la mia.
Mani di bimba, seni di donna, occhi a metà.
Io ho paura di volare e nonostante questo ogni anno prendo almeno dieci
aerei. Quando c’eri tu era uno solo all’anno, ma avvolto in una coperta rossa.
Quando arriviamo all’aereoporto tu già mi ha perdonato per la mia rabbia
infantile, è colpa mia se ho sbagliato le coincidenze e ho dovuto pagare il
supplemento, io sono ancora arrabbiata e tu mi hai già perdonato.
Lisbona odora di vento, è una donna di mare dalle braccia grosse e il seno
caldo, sorride con un fazzoletto rosso terra nei capelli e ha un dente nero e
gli occhi che luccicano come il Tago. Camminiamo in salita tutto il tempo e io
mi innamoro ancora. Gatti dappertutto.
Tu mi chiami piccolina e sento di volerti bene come al mio papà. Ma poi mi
dai un bacio sulla torre di Belém e mi si sciolgono le gambe e tremo e ho caldo
e ti sento nella mia pancia.
E non amerò mai più così.
Il mio cuore ci sta tutto in un bicchierino di Ginja. Ce lo porta Dona
Conceiçao dopo il pranzo e io mi chiedo, Lisbona è lei? Ha la pelle olivastra e
cammina a stento per la sua mole, mescola spezzatini come fossero montagne e
bercia allegra ai poveri camerieri. Hanno tutti paura di lei e io rido e tu con
me. La Ginja è rossa e dolce e forte e sa di ciliegia, come il mio cuore.
In cima al Barrio Alto tu mi dici, vorrei vivere con te in una casetta
piccolina, e io mi immagino di seminare scatoloni per tutte le strade e poi
unirli e riempirli di cuscini e poi bucarli per passare dall’uno all’altro e
ogni mattina svegliarmi e uscire e vedere il mare con te.
Mi hai portato in mare una volta, io non c’ero ma tu come tutti i marinai non
porti le donne a bordo se non nel pensiero. Mi hai detto che mi pensavi mentre
navigavi, e da quel momento ogni mare mi parla di te.
Anche se sei un marinaio i tuoi occhi sono marroni come la terra. Mi viene
in mente mentre osservo le azulejas
sui muri, poi guardo te e mi sento a casa. Mi suona una musica nel cuore e non
è il fado. Tu mi guardi e mi stringi forte.
A Cabo da Roca il vento soffia violento e tu mi stringi di nuovo. E lo so che
siamo troppo giovani o forse sono solo io. È il punto più a ovest d’Europa,
questo. Dice il poeta, qui dove la terra finisce e il mare comincia…
Io so che la terra finirà ma il mare è per sempre.
Dalla raccolta immaginaria di racconti Luoghi.
Cabo da Roca, Portogallo dicembre 2005 |
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