La porta di casa si
sfonda, tutti i vetri del terrazzo vanno in pezzi ed entra il vento, è bianco
come le pupille di mia madre, quando la chiamo per dirle cos'è successo mi
risponde con voce di sonno e dice che non sa, di chiedere a qualcun altro e si
addormenta tra le parole, allora chiamo mio padre che con dolcezza mi dice ci sono
io piccola mia, non mi ha mai parlato così e allora forse questo è un
sogno ed ecco perché è tutto così bianco, mio padre arriva con mio fratello e mi portano
dei vetri di plastica da montare, è facile dicono e poi se ne vanno e io resto
con la plastica fredda in mano e vorrei coprire il buco ma non so come si fa, così rimango impotente stringendo quella cosa inanimata e insieme a me c'è solo il bianco
che soffia da fuori, allora inizio a girare per le stanze a cercarti, entro in una
ed è piena di gente con le scarpe da ginnastica e i jeans delle superiori ammucchiata l'una sull'altra, guardo quello in cima al mucchio che ti somiglia ma non sei tu, lui si alza e viene
da me, mi prende il viso con due mani come fai tu e vuole baciarmi ma io mi
ritraggo e subito dopo il vento mi porta in un'altra stanza dove su una sedia c'è un abito bianco, lo odio il bianco perché è il colore del tutto e io invece mi sento sempre in
pezzi e non riesco nemmeno a spazzare via i cocci di vetro dal
pavimento, all'improvviso mi chiama la mia amica e la sua voce dolce e
preoccupata è una musica che viene da lontano, ma io voglio parlare con te e allora metto giù e ti
chiamo e il telefono squilla e squilla e so che non saprò mai se risponderai mentre io rimango ferma, paralizzata
dall'assenza e dal bianco che continua a soffiare da fuori a dentro di me.
martedì 10 dicembre 2019
sabato 17 agosto 2019
Żàgara
Żàgara = s.f. [voce
sicil., dall'arabo zahr] - Il fiore
degli agrumi, spec. dell'arancio e del limone: profumo di z; boschetti d'agrumi imbalsamati di zàgare e di gelsomini (Pirandello)
Il sole d'agosto
scende in picchiata sulla caletta, il mare lo riverbera nell'aria, rendendola
salata. Le cicale segano i tronchi dei pini, seccando il cielo. I rami
schiantati dai raggi sembrano creare sagome umane, forme calcificate
nell'azzurro. Niente si muove, tranne me: avanzo nella spiaggia incendiata,
ubriaco di estate. L'aria caldissima mi entra nelle narici dilatandole, mi
sento la testa leggera, boa galleggiante nell'acqua. Non avverto le onde, né
l'inferno sotto alle piante dei piedi, sono tutt'uno con la sabbia e l'aria
tremolante di calore.
Dal mare arriva
un profumo dolce e forte, si fa strada nel mio naso pieno di sole, chiudo gli
occhi e mi ci perdo dentro. Mi appare un vestito bianco, una cavigliera tintinnante,
bicchieri di vino sparpagliato dai raggi del sole. Riesco a sentire l'aroma di
arance che si intona perfettamente al turchino degli occhi, come nelle
piastrelle di maiolica siciliana. Respiro a fondo e seguo la scia agrumata fino
alla riva. Non riesco a ricordare il nome del tuo profumo eppure lo sento,
arance vive sulla pelle, dentro ai miei pori salati. Arrivo alla battigia
trascinato dal vento odoroso, percepisco l'azzurro insinuarsi tra le mie
caviglie e mi immergo fino alla vita.
Quasi non mi
accorgo di te che mi nuoti attorno, poi ti sollevi scintillante d'acqua e mi
butti le braccia al collo. Mi goccioli addosso, ti rituffi e mi spruzzi
ridendo, i denti bianchi come schiuma. Bevo l'aria profumata, sento foglie e
fiori crescermi dentro la testa. Tu mi chiami, vuoi giocare, le tue piccole
mani sono gioielli dentro a una conchiglia. Avanzo nell'acqua che sale sempre
più, sento le gambe fondersi con i flutti, il mio corpo sciogliersi nel blu.
Tu ti volti per
vedere se ti sto seguendo e io sì che ti seguo amore mio, ormai di te riesco a
scorgere solo la testa bionda, sembra un sole che sorge dal mare e mi toglie la
vista, ma a me non serve perché seguo il profumo, e mentre mi lascio sommergere
mi sembra di sentirti dire il mio nome amore mio, non ne sono sicuro perché
l'acqua mi sta entrando nelle orecchie, ma è un'invasione dolce, e quando anche
le narici si riempiono di mare chiudo gli occhi e sento il profumo nella mia
testa e dentro alle arance ci sei tu, allora lo lascio entrare fino in fondo ai
polmoni e con l'ultimo respiro riesco a vederti amore mio, e finalmente
ricordo, adesso che siamo di nuovo insieme e non ci lasceremo mai più: profumi
di zàgara.
domenica 7 aprile 2019
Legna
So parlare solo
di radici, dicono.
Se risalgo la
radice trovo un albero: il ramo di mia madre è pieno di lentiggini. É un legno
nodoso costellato di nei, chiazze più o meno grandi e ombreggiature. Non c'è
nulla di omogeneo. Mia nonna avrebbe voluto sfrondarlo, quel ramo, piallarlo,
ignara che in fondo ai suoi occhi di legno marrone ci sono le stesse, minuscole
macchie.
Il ramo di mio
padre è un melo, robusto e tenace, non si piega durante le tempeste, che in
verità arrivano poco. É mite il clima qui, e forse proprio per non risvegliare
il bosco si usa parlare poco e solo del tempo, della vendemmia e delle fiere.
Ma un albero che cade, anche nel silenzio, lascia il vuoto.
Quando arriva la
primavera le gemme esplodono in semi che si spargono intorno. Cercano saltando di
spingersi lontano, ma atterrano all'ombra dei rami, bimbi nudi. Bevono parole
che cadono dall'alto, dimenticano l'abbraccio della corteccia in inverno, si
allungano nel cielo grande. Qualche ramo nasce sbucciato, di notte prende
freddo e se si posa un animale rabbrividisce e lo fa andare via. Qualche ramo
si torce verso il sole, imprimendo nel legno rughe di ostinazione. Qualche ramo
è un abbozzo, scorza dura e linfa calda, non prende forma e mai lo farà.
Poi d'estate si
aprono le foglie, verdi senza vergogna. Toccando le venature sento nei sottopelle,
urlate della domenica, la consistenza del vapore di pastasciutta, ore sole in
camera. E ancora mani, libri, voci, mi tocco la faccia e sento legna.
In autunno
diventeremo cataste, in inverno ci scalderemo bruciando. Io mi allungo, e sento
le gemme sotto alle mani.
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