mercoledì 16 dicembre 2015

Gli aeroplani

Scende la sera sul campo profughi, qui il tempo sembra scandito più nettamente, la luce obliqua che colpisce le tende disegna sul terreno ombre più fitte, più piene. Sarà anche per via dei rituali giornalieri, la distribuzione dei pasti, la consegna dei medicinali, le preghiere al tramonto con i corpi che si piegano come meridiane a ringraziare dio, il sole, l'uno e l'altro. Provo un senso di pace, come se le lancette dell'orologio battessero al ritmo del vento, del cielo che muta, delle parole che non capisco ma suonano ferme e vere come la terra sotto ai miei piedi.
Ci sono anche bambini nel campo, un gruppetto di cuccioli neri che stanno sempre assieme e si badano l'un l'altro, senza che sia ben chiaro chi è fratello di chi. Con i bambini è così, spesso sembrano più grandi di noi cosiddetti adulti, e il visetto tondo di Ibrahim, qui, ha un'espressione seria e compunta quando accompagna in giro la sua forse sorellina. Dormono in una delle tende allestite insieme alle mamme, anche se ancora non ho capito chi è mamma di chi, ma la parola mamma è come la parola terra, comprende e abbraccia e sorregge tutto, tutti.
Ibrahim mi spiega che in Africa quando passa un aeroplano nel cielo i bambini fanno un ballo cantando la canzone degli aeroplani. Mi fa vedere come si fa, inizia a ballare in tondo con le braccia tese e in un attimo tutti gli altri bambini lo seguono, con qualche adulto che canta. Chiedo di cosa parli la canzone e mi viene risposto che fa più o meno così: aeroplano aeroplano che voli, portami via con te.
Dopo aver fatto gli aeroplani i bambini sono stanchi, Ibrahim viene a salutarmi facendo capolino sulla porta.
- Where do you go now?- gli chiedo.
Lui indica la tenda e risponde semplicemente: - Home -.

Dalla raccolta immaginaria di racconti Luoghi

sabato 5 dicembre 2015

Calzini

Mi piace tanto il tuo letto, è grande ma non troppo e posso starci dentro a cavalluccio marino, con tu che ti adatti alla forma che prendono le mie gambe, oppure spalmarmi contro il muro come un geco se sento che i rumori nella mia testa sono troppo forti e vanno scaricati contro una superficie rigida - come quando prendi la scossa e si scarica sul pavimento.
Ho lasciato i miei calzini sul tavolo, tre paia per sicurezza, perché il mio cassetto trabocca di calzini tutti diversi, mi piacciono tutti e mi piace il diverso rumore che fanno i loro colori a contatto coi miei piedi.
Stamattina metto quelli gialli, li ho presi all'H&M di Digione molti anni fa e sanno di senape e vino fruttato. Quelli neri -immancabili- e quelli rossi -retaggi di giovinezze rivoluzionarie- li rimetto nella borsa, magari torneranno utili più tardi.
A cosa ti servono tutti 'sti calzini, osservi tu dal letto. Mi piacciono, mi ricordano i miei viaggi, rispondo io contenta. Mi piace provare tante cose diverse, continuo senza che tu me lo chieda.
Con quanti uomini sei stata, dici tu a bruciapelo. Non me l'avevi mai chiesto, quasi nessun uomo lo fa, è più una domanda da donne. Me ne rendo conto e mi arrabbio.
Un po', rispondo, come te, immagino. Ma non mi interessa sapere quante donne sono, aggiungo senza riuscire a nascondere l'irritazione.
Perché ti arrabbi, dici tu divertito, e io mi arrabbio ancora di più, ma non con te, che tra un attimo ti alzerai per preparare i pancakes più cattivi che io abbia mai assaggiato ma li mangerò comunque perché li hai fatti tu senza che io lo chiedessi.
Mi arrabbio con le donne, che devono sempre mettere tutto in una griglia di valutazione e finiscono per essere per forza giudicanti, anche con se stesse. Forse non è nemmeno colpa loro, anzi nostra, visto che il mondo è maschio dalla nascita. Però non vorrei mai che la voce che mi chiama troia (e a te figo, ovviamente) fosse femminile.
Vado marciando verso la cucina dove tu stai già rovinando il fondo della padella bruciandoci l'olio dentro.
A me non piacciono i calzini tutti uguali, dico petulante.
Tu sorridi e mi guardi i piedi. Ho messo i calzini rosso rivoluzione sopra ai giallo senape.
Ho freddo, spiego. Tu sorridi ancora e dici: lo so, poi mi dai un bacio sul naso.

Dalla raccolta immaginaria Altri racconti.