mercoledì 30 marzo 2016

Porti

Lo so, sono un mare in tempesta                                                                                                       Ma, per favore, resta.

Murales nel porto di Bari

Partire è un po' morire, non so chi lo dicesse, ma lo capisco, anche se forse per me partire è un po' vivere alla seconda, non come potenza, ma come possibilità. Il mare dà questa sensazione di possibilità infinite, come il treno che si allunga dolce e stiracchia i pensieri, come il vuoto sopra la testa negli aeroporti (l'ho già detto, c'è troppo, troppo spazio per pensare negli aeroporti).

Le corde secche e salse che si usano per gli attracchi delle navi sono piene di nodi, uno per ogni porto, e per ogni porto un bacio. E per ogni porta di casa in cui hai passato la notte, un bacio. I baci sulla porta forse sono i più belli, perché si aprono e chiudono come un occhio che spia, ammicca e si addormenta.

E allora mi domando, la vita è una corda piena di nodi, una collana infilata di baci, una sequenza di viste da finestrini e oblò? Così ci sarà sempre un altro porto, un altro bacio, un'altra finestra.

Oppure, restare. Saper scegliere di restare, magari solo per un poco, magari solo una volta.
Saper dare il tempo al vento del porto di seccartisi addosso, per poter avere, domani, nostalgia.

martedì 15 marzo 2016

Sagome


-          Ad ogni modo, mi piace ora, - dissi. - Proprio adesso, voglio dire. Stare qui seduto con te a fare quattro chiacchiere, e a scherzare…
-          Questa non è una VERA cosa!
-          È una VERA cosa eccome! Certo che lo è. Perché diavolo non lo è? La gente non crede mai che una cosa sia una VERA cosa. Ne ho arcipiene le maledette tasche.

J. D. Salinger

Il divano di casa dei miei mi ricorda il Millenium Falcon, io e mio fratello lo usavamo come navicella mentre guardavamo Guerre Stellari e ci immedesimavamo nei protagonisti. Io adoravo la scena in cui Han Solo bacia la principessa Leia e prima le dice: - Stai tremando - e lei risponde di no ma si vede che invece è sì, e insomma fin da allora ho sempre desiderato essere una donna forte, o almeno forte fuori e dolce dentro, una tosta. Quando sei piccolo pensi che da grande le cose succederanno e basta, diventerai qualcuno, e anche se la grotta in cui pensi di essere è in verità la bocca di un mega verme spaziale, te ne accorgi in tempo e scappi. Insomma, quando sei piccolo pensi che saprai, capirai, diventerai chi sei.
Poi più cresci più hai a che fare con sagome, e per sagome non intendo gli spiritosoni, bensì delle figure contenitive, delineanti, ideali. Ti si specchiano negli occhi a casa, a scuola, in patronato, al parco, ai concerti, all'università, in TV. Finché sei giovane va anche bene, non avere una forma, dire: tanto un giorno capirò, saprò.
Ma chi lo dice che finisce così, che a un certo punto ti capisci e rientri in un modello. Certo, i modelli servono, se non per avere un riferimento, almeno per distruggerli. Io adoravo le donne forti in cui mi imbattevo da ragazzina e la loro emulazione mi ha sicuramente fatto crescere, dato identità.
Il punto è che non c'è un magico momento in cui sei grande e sai. Continui a crescere, però, le stagioni cambiano e così gli abiti delle persone, e tu senti che forse dovresti essere qualcosa di diverso, o meglio, dovresti essere QUALCOSA. Hai cambiato pelle tante volte - ed "è dura lasciar andare la vecchia pelle..."* - eppure il vestito nuovo, da adulta, non c'è, non ti sta.
E allora scappi dalla grotta che crolla o dalla bocca che ti si chiude addosso, corri fuori, in un eterno altrove. Oppure ti fermi e ti ascolti maturare, senti sottopelle scorrere te stessa che resta e allo stesso tempo cambia. Guardi le mogli e le mamme e pensi: dio mio.
Perché c'è un'altra cosa, e la dice molto meglio Virginia Woolf ma ora ci provo anche io, e cioè: essere una donna vuol dire nascere e avere già un vestito addosso all'anima nuova di zecca. Cucirtelo tu, il tuo vestito, comporta togliere o adattare quello che ti sei ritrovata addosso. E se è dura lasciar andare la vecchia pelle, figuriamoci spogliarti e cucirti la tua.

* R. Kypling, Il libro della giungla