martedì 12 aprile 2016

Pezzi

Che paura, che voglia che ti prenda per mano...

F. De André

Forse una delle cose che dovrebbero dirti, quando si inizia a parlare d'amore, è che può andare tutto a puttane. Può, ma tu devi provare lo stesso. Perché non c'è niente di peggio che stare a bordo campo inveendo contro un pallone che non calci, quasi peggio dei vecchi che guardano i lavori stradali con le mani dietro la schiena e le tasche piene di rimpianto.
Al massimo sbagli, e sbagliando s'impara. Io cosa ho imparato? Vediamo.
Una volta non abitavo nella stessa città di lui, e la poesia dei treni non era sufficiente a stemperare il mio egoismo, a farmi combattere, così ho mollato. Non sapevo cosa volevo fare di me, perciò non sono riuscita a costruire un noi (e un noi senza un me - o un te - non esiste).
Un'altra volta non ero convinta fin dall'inizio ma ho provato lo stesso, è durata diversi mesi (un'altra volta, simile a questa, anni) in cui abbiamo costruito una casa senza fondamenta ma che ci ospitava entrambi e ci scaldava quando era freddo, salvo poi andarmene senza nostalgia, sola con i miei sensi di colpa.
Un'altra volta, anzi tante, era solo divertimento ma a un certo punto non funzionava più, un sorriso fa in fretta a trasformarsi in un ghigno e presto la sola cosa che resta è un nome in più.
Un'altra volta ero innamorata ma lui no, almeno lì ho pianto per qualcosa, e un'altra ancora era vero amore fortissimo ma è andato tutto a puttane lo stesso, sì eravamo troppo giovani ma non te lo spieghi lo stesso, come è possibile che l'amore finisca, come.
Quando va sempre tutto in pezzi si può decidere se chiamarli cocci oppure mattoni, se dietro c'è solo distruzione oppure la forma della tua vita, i tasselli di te. Si resta in piedi, si mettono i pezzi in tasca per poter, alla fine, montarli e vedere il disegno.

Rompersi è un rischio che si corre incontrandosi, ma dentro al guscio c'è la polpa, la parte più vera. Forse un cuore patchwork è meglio - e più vero - che essere tutti di un pezzo, ma soli.