domenica 12 ottobre 2014

Metro

6:55, la notte già strizza gli angoli degli occhi per aprirli al giorno che arriva, mi scrollo via il buio dalle spalle e scendo in fretta le scale della metropolitana.
Mi sento come Pinocchio nella pancia della balena, immersa in un plancton fatto di persone. Nessuno parla a quest'ora, ci si sfiora con lo sguardo, molti leggono il Metro, le ragazze sono tutte belle anche se hanno ancora la forma del cuscino sotto agli occhi, gli uomini sembrano tutti tuo padre o il tuo professore del liceo, le pelli sono di tutti i colori e si amalgamano alla perfezione come un dolce fatto in casa.
Una coppia di ciechi che vedo ogni mattina si avvicina alle panchine, si tengono per mano e con l'altra spingono avanti il bastone bianco, io mi chiedo ogni volta se quando si sono conosciuti ci vedevano oppure si sono innamorati al buio.
Un'altra coppia di ragazzini si stringe, si tocca, lui le tiene il viso tra le mani con gesti precisi, quel tipo di gesti che nessuno ti insegna, li conosci già. Lei non si vergogna, ridono, sono gli unici che parlano e il loro portoghese ha il suono della campanella di scuola.
Io aspetto di salire e so già che troverò un paio di facce che vedo sempre, non ci conosciamo ma ci vediamo ogni mattina, il treno ha sei vagoni eppure ci ritroviamo sempre nello stesso, e se per caso capita che non ci incontriamo mi dispiace e arrivo al lavoro più pesante.
Il treno è arrivato, quando le porte si aprono chi esce si mescola a chi entra, qua non c'è l'ordine nordico, è tutto un po' un casino, ma io mi sento al caldo e al sicuro.
Dopo un paio di fermate si libera un posticino, mi lascio cadere a fianco di una signora angolana coi capelli avvolti in uno scialle colorato e, anche se qui ho sempre la tentazione di appoggiare la testa sulla spalla dei miei vicini, la lascio andare all'indietro contro al vetro.
Chiudo gli occhi e sogno in un'altra lingua.

Dalla raccolta immaginaria di racconti Luoghi.

Metro de Lisboa, estação Parque

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