sabato 28 novembre 2020

Corpo

La mattina in cui ho capito cos'è un corpo era inizio novembre, il mese delle cose brutte. Ho sentito un rumore sordo che dal pavimento della cucina è arrivato fin dentro il mio sonno, svegliandomi di colpo. In un secondo ero giù dal letto, quello successivo già in cucina. Nella cornice della porta, mio padre chinato sul pavimento con un'espressione di sconcerto, le parole gli uscivano solo come definizioni, quasi avesse bisogno della grammatica per sostegno: « Sei a terra! É sangue! »
Il corpo di mia madre è esile e ossuto, l'ho sempre ritenuto leggero, ma non ho mai veramente conosciuto il suo peso fino a quel momento. A dire il vero, credo che fino ad allora non considerassi il suo corpo come esistente nello spazio, forma reale che si interfaccia con le cose e può modificarle ed essere modificata. Mia madre era una specie di entità primitiva, sostanziale. Vederla stesa sulla barella, dritta e secca come un ramo, ha catapultato l'urgenza del suo corpo dentro di me.
Una cosa simile è successa con la nonna, qualche anno dopo. Quando siamo entrati in obitorio, mio padre era in giacca e cravatta, la sua figura dolente ma solenne come sempre. Pensavo che finalmente l'avrei visto piangere, ma è un primato a cui non ho mai assistito. Ha guardato dentro la bara dove la nonna aspettava, dura e di carta allo stesso tempo, ha issato il braccio come una bandiera fino alla spalla di mio zio e ha detto: « Siamo orfani ».
Il corpo della nonna è sempre venuto insieme ai suoi gioielli e belletti, un sacrario di persona. Man mano che la malattia decorreva se ne spogliava sempre di più, ma per me la sua essenza è rimasta quella. Non avrei dovuto stupirmi poi tanto quando, durante un viaggio in Iran, visitando la sala del tesoro degli scià di Persia ho avvertito distintamente la sua presenza, quasi un decennio dopo la sua morte e in una terra che forse non aveva mai sentito nominare. É proprio vero che i posti sono persone.
Il mio, di corpo, è una cartina stiracchiata. Mi sembra che l'unica parte rimasta la stessa siano le mani, come diceva il mio grande amore dei vent'anni. Diceva: « É incredibile avere le stesse mani da quando sono nato », chissà se lo pensa ancora. Forse è per questo che mi tatuo, cerco di ancorarmi, ricordarmi, apponendo dei sigilli sulla carta della pelle.
Il mio corpo è il tonfo a terra di mia madre, la muta presenza di mio padre, la corteccia damascata della nonna. Il corpo, lo sento veramente solo quando ne peso la storia, e nel farlo, peso me.

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