lunedì 2 luglio 2018

Ultimo giorno di scuola


"Così anche lei si sente insicura, piccola, e crede di non essere abbastanza, proprio come me."
T.P., 15 anni

15 maggio. Oggi mi sembra che il mio braccio sinistro sia più lungo di ieri. Forse perché mi ci sono addormentato sopra dopo basket, ero stanco morto e puzzavo di cane e volevo solo dormire al calduccio nel mio sudore e insomma poi mi sono risvegliato col braccio tutto informicolato e mi sembra proprio che adesso sia più lungo, boh. Chissà se lei lo nota. Si è accorta che mi sono tagliato i capelli da solo, figurati se le sfugge il braccio allungato.
Devo finire i compiti, altrimenti non posso uscire. Certo, potrei passare per la portafinestra, ma poi la mamma mi becca comunque e finisce che mi tiene in punizione per tutto il weekend e non si può fare, il sole è così tanto che adesso scoppia e ho i piedi che vanno da soli, praticamente sono già al parco. Ho due materie sotto e manca un mese alla fine e lo so che devo studiare ma c'è troppa luce e ho il cuore che rimbalza come il pallone da basket, finirà per sfondarmi la maglietta così lo vedranno tutti, anche lei.
Non sono bravo con le fini, forse perché sono abituato che subito dopo ci sono da fare i conti. La scuola ad esempio, è stupendo quando finisce però poi ci sono le pagelle e tutta la scenetta delle mamme ansiose davanti ai quadri e i figli con gli occhi bassi che annusano l'aria di giugno e fremono come cani però devono tenere botta finché non è finita la manfrina. L'anno scorso Carlone rischiava di brutto, aveva tre materie ed è venuto a vedere i quadri con la faccia grigia ma la testa alta e quando ha letto ammesso con riserva ha cacciato un urlo che hanno fatto tutti un salto ed è schizzato fuori tirando madonne di gioia e alla fine è rientrato, ha abbracciato sua mamma ed è sparito, non l'abbiamo più visto fino a settembre. Io invece ero stato ammesso senza debiti però non ho fatto niente, nemmeno un balletto tipo Maori prima della partita (e sì che sono bravino), qualche pacca sulle spalle tra noi maschi della classe e via in bici nei campi, con mia mamma che non ha detto niente però sorrideva.
Quest'anno invece la vedo male, ero partito in forma ma adesso non ne ho più e il peggio è che vorrei solo starmene fuori a giocare a basket, con il pallone al posto del sole che ogni volta che faccio canestro lui tramonta e finisce la giornata e poi ricomincia con io che prendo la mira e così via, sempre.

1 giugno. Mancano nove giorni! Ce la posso fare (forse). Lei è tesissima, non le si può parlare, ha paura di prendere matematica e forse anche italiano, dice che non sa scrivere, che i pensieri in testa ce li ha chiari ma poi non sa come metterli giù e la capisco bene, per me è lo stesso. A volte mi sembra che siamo proprio simili, tipo a lei dà un sacco fastidio Ivan che ha l'alito pesante, si vede proprio che smania quando lui le fiata addosso ma non glielo direbbe mai perché ha l'apparecchio eccetera, e quindi piuttosto fa la nervosa con le amiche ma a lui non dice niente. É un po' lo stesso con Paco a basket, ovvio che mi dà fastidio che è lento e si fa fregare sempre sui passaggi ma mica posso dirglielo, lo sanno tutti che sua mamma beve. A dire il vero una volta qualcuno l'ha preso in giro facendo il gesto del bicchiere e lui è diventato improvvisamente calmissimo, è andato da quello che aveva fatto il gesto e gli ha spaccato il naso con un pugno. Forse siamo solo due ipocriti, ci piace sentirci buoni quando invece le persone non hanno nessun bisogno della nostra compassione.
Comunque, inglese l'ho tirato su, resta solo una materia a rischio. Si gioca il tutto per tutto in una settimana. Solo che c'è il sole, la finale di girone che non so nemmeno se mi convocano, la festa di istituto, e il sole. Vorrei che mi stesse tutto in tasca, così potrei tirare fuori una cosa per volta, capirla per bene e rimetterla via.

10 giugno. Finita! Cazzo, sì! Tre mesi di azzurro, zampironi, anguria fin dentro i polmoni, piedi neri di sabbia e terra, palloni scortecciati da tutte le volte che rimbalzano sul campo, gelati e sigarette (non quelle della mamma però, che l'ultima volta se n'è accorta). Ai tabelloni c'eravamo tutti, lo squadrone completo. Carlone bocciato, stavolta non c'era scampo, ha visto i quadri e ha fatto uno sguardo da pirata, una risatina ed è sparito, cicca in bocca, sua mamma non c'era. Tutti gli altri promossi, lei ha preso solo matematica, mi ha abbracciato forte e poi mi ha detto vieni, devo dirti una cosa. Siamo andati in palestra, l'odore che c'è lì mi rassicura sempre, mi sembra di avere il pallone da basket al posto del cuore e di poter controllare i battiti come quando palleggio. Stavolta però insomma, sudavo come un opossum e non sapevo cosa fare con le mani, con la bocca, niente. Per fortuna c'era lei, si vedeva che non sapeva niente come me però continuava a tenermi le mani e non si è nemmeno accorta che ho un braccio più lungo dell'altro, o forse sì e non le importava, forse è proprio questo che le piace, sono tutto strano e fatto di pezzi che non c'entrano niente tra di loro ma per qualche motivo stanno assieme e mi fanno intero, come un animale che non si sa bene che cos'è, e mentre lei mi teneva le mani ho pensato che forse è questo l'amore, non sapere niente e rotolarsi nella vita senza capo né coda, però insieme.







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