sabato 18 gennaio 2014

In nessun luogo

Una volta da piccola ho letto una storia. Non ricordo né il titolo né il nome del protagonista, mi è rimasta solo l’immagine, fortissima, di questa persona o essere che si ritrova con un piede da una parte e uno da un’altra e in mezzo c’è dell’acqua o il vuoto cosmico o il nulla, insomma. Pian piano lo spazio tra i suoi piedi si allarga sempre di più, sempre di più, finché lei rimane lì divaricata, bloccata, congelata senza poter far nulla. Non può né saltare da una parte né dall’altra, né andare avanti né tornare indietro, è piantata nel mezzo. In nessun luogo.
Bauman, quando ha introdotto la tanto decantata definizione di “liquido” per il mondo in cui viviamo, ha parlato anche dei non luoghi. Elementi ormai riconosciuti nell’immaginario comune, i non luoghi riempiono il mondo, ne fanno parte, collegano i luoghi “veri” tra di loro: metropolitane, autobus, treni. Non sei da nessuna parte ma ci stai andando e ciò ti rilassa, forse per questo è così facile addormentarsi in treno: è una pausa dalla vita vera, in cui comunque rientrerai quando arrivi alla tua fermata. Questi non luoghi sono sì anonimi, sì di passaggio, ma sicuri, protetti. Temporanei.
Essere in nessun luogo è diverso. È una condizione paralizzata e paralizzante, come la rana che spicca il salto e si blocca a metà, avvelenata, o come una ginnasta in spaccata permanente. Non sei di passaggio, sei fermo.
Hai tanti luoghi dietro e tanti davanti ma non puoi raggiungerli perché non sai dove sei. Nessun luogo è lontano, d’accordo, e ogni grande viaggio comincia sempre con un primo passo, benissimo, ma in ogni caso c’è bisogno di un punto di partenza. E se non sai dove sei, il punto di partenza non c’è.
Tenere i piedi in due luoghi può portare alla paralisi. Spesso si è costretti a farlo, specie ora, specie noi, generazione di mezzo, imbottitura tra lo strato superiore di ultimi superstiti di un sistema garantista che non c’è più e quello inferiore di giovani rampanti che sono sul pezzo, abituati al caos e alla polverizzazione delle certezze, e che di questo sanno nutrirsi.
Non ricordo come finisse la storia di cui sopra, e proprio questo è il bello: l’immagine rimane pietrificata, in nessun luogo. Essere a metà non è facile, anche se lo sei per natura o se i tempi che corrono ti costringono a esserlo. Immagino che l’incantesimo si sciolga scegliendo un luogo, uno. Probabilmente uno dei due piedi farà male, forse lo si sarà dovuto strappare via con forza o forse si sentirà semplicemente la mancanza del terreno che si pestava dall’altra parte.
Ma almeno si potrà ricominciare a camminare.

calle Recogidas, Granada
novembre 2012





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