sabato 25 gennaio 2014

Siviglia con pipas

Siamo in un tipico bar del sud della Spagna, strapieno di gente vociante e cosparso di pipas, termine intraducibile per definire quella specie di legumi che si usa mangiare e sputare poi le bucce a terra, lasciando un poetico corredo di scorze nerastre che costellano il pavimento, il bancone, le sedie, i tavoli. Sembra molto più brutto di quello che è in verità, cioè un manto ruvido marrone nerastro che fa quasi Messico e nuvole (che voglia di piangere ho).
Naturalmente è impossibile liberarsene, delle pipas, e anzi ne localizzo una nell’incavo del tuo gomito mentre mi parli animatamente e la tentazione sarebbe di scaraventarci tutti e due nelle acque purificatrici del Guadalquivir. Invece ti ascolto, annuisco semisorridendo e ti ascolto.
Mi parli di tuo padre che perse il lavoro quando eri piccolo, di tua madre che è così contenta che ti sei laureato, sei il primo in famiglia! E ora che sei lontano da casa, loro sono contenti lo stesso. Mi viene addosso una ragazza bruna ubriaca e felice che grida qualcosa, così ci schiacciamo ancora di più contro il bancone. Maledette pipas.
«Tu non ti rendi conto» mi dici, con tono forzatamente alto per sovrastare quel colorato casino «Non pensi mai a quanto sei fortunata? Voglio dire, c’è gente che si alza la mattina per fare sempre lo stesso lavoro di merda. Sempre la stessa cosa, avvitare bulloni, archiviare pratiche, mettere il cazzo di tappo su un cazzo di dentifricio» dici, e sbatti la mano sul bancone, senza violenza, così. «Dovresti pensare di più agli altri» concludi, prendendo un generoso sorso di cerveza.
Io non so cosa dire, e non succede spesso, sinceramente. Ti guardo che guardi oltre, aldilà delle teste dell’umanità da bar sivigliano, chissà dove cazzo guardi. Magari guardi me in verità.
«Hai ragione» dico alla fine, guardando nel bicchiere «Hai ragione. Sono una bambina viziata del cazzo. Ho letto troppi libri forse» aggiungo, e quasi rido. Quasi, perché sui libri non c’è troppo da scherzare, è l’unica cosa seria che ci è rimasta.
Tu non dici niente, ma hai l’aria contenta. La gente ti sbatte addosso, come sempre in questi bar, ma non te ne importa. Non te ne importa e io sorrido e vorrei che tu mi guardassi per vedermi sorriderti.
«Allora adesso dove andiamo?» ti dico, senza smettere di sorridere anche se tu continui a guardare oltre.
Tu abbassi lo sguardo - io sono piccolina, devi abbassarlo per forza per guardarmi. Mi sorridi anche tu, solo un poco, così.
«Hai una pipa nei capelli» mi dici ridacchiando, e passi la tua mano grande nei miei capelli, così.
«Restiamo qui» mi dici, senza togliere la mano.

E a Siviglia
Le stelle suonavano forte come tanti sonagli.

Dalla raccolta immaginaria di racconti Luoghi.


puente Triana, Sevilla
novembre 2012





Nessun commento:

Posta un commento